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Reportage Lorenzo Bedussi Martedì 15 maggio 2018

Un ponte tra Cinghiali e Briganti

Il team dei Cinghiali e delle Cinghiale scende a Catania per festeggiare la nuova sede dei Briganti Librino Rugby.

Vista del quartiere di Librino da dentro il terreno di gioco

Un aereo ci porta per 1.000 km verso un’altra pagina di sport popolare. Sono con i Cinghiali e le Cinghiale, rugbisti/e di Bologna, e siamo in viaggio verso una delle squadre più importanti del rugby sociale: si tratta dei Briganti Rugby Librino, giocatori in maglia rossa che dal 2006 infondono linfa vitale in questo aspro quartiere di Catania. Densamente popolato, contiguo all’aereoporto, pochi servizi, zero possibilità occupazionali, Librino non è un quartiere in cui è facile immaginare alternative. Il doposcuola e l’educazione sportiva che i Briganti offrono sono una barricata contro violenza e criminalità. Una barricata alla quale una notte viene appiccato il fuoco: tra il 10 e l’11 gennaio 2018 al campo San Teodoro Liberato la loro sede viene incendiata da ignoti. La pianificazione urbana del quartiere Librino risale agli anni Sessanta. Grandi condomini moderni, strutture scolastiche e mediche, una rete stradale efficiente dovevano essere i suoi punti cardine, insieme a un grande parco pubblico, il più esteso di Catania. La realizzazione venne affidata all’equipe di Kenzo Tange (artefice della Fiera di Bologna negli stessi anni) che completò il progetto verso la metà degli anni Settanta. Tuttavia poco tempo dopo si rese necessario approvare un primo condono, a causa di svariate palazzine sorte senza autorizzazione nei dintorni. L’abusivismo diede impulso agli affari della malavita, spinse il quartiere alla sovrappopolazione e la grande quantità di verde pubblico non curato amplificò la connotazione “selvatica” del posto. Ad oggi nessuna delle importanti infrastrutture previste dal progetto è entrata in funzione.

Il murales di Blu che si vede dal campo dei Briganti

Il murales di Blu su uno dei palazzi di Librino, di fronte al campo da rugby: politici, militari, piovre e cavalli decapitati fuggono da un fiume di lava che rappresenta giovinezza e vitalità

Le fiamme distrussero l’interno della palestra, la biblioteca, gli spogliatoi e la club-house, insieme a cimeli, materiale per bambini e attrezzature. Tre mesi dopo la catastrofe, i Briganti, con la solidarietà del rugby italiano, avevano già rimesso tutto in piedi. Il campo San Teodoro venne battezzato “Liberato” perché aperto con il sudore dei Briganti, nella festa della Liberazione nel 2012: tantissime ore di volontariato estirpando erbacce, infestanti, arbusti, livellando il terreno, rifacendo gli interni e i pavimenti. Prima del 2012 il campo e le palestre erano in rovina, un lascito delle disastrose Universiadi del 1997. I Briganti, in quella selva, hanno tracciato una strada, un ponte che supera quindici anni di inutilità e spreco, un ponte che scavalca il pantano burocratico per collegare una struttura rigenerata con un quartiere in attesa di nuove possibilità.

La diciannovesima Universiade, tenutasi nel 1997, venne pubblicizzata come «l’evento sportivo più grande dopo le Olimpiadi» e coinvolse atleti da 124 nazioni in competizione per dieci sport (atletica leggera, calcio, ginnastiche, nuoto, pallacanestro, pallanuoto, pallavolo, scherma, tennis, tuffi). La particolarità della manifestazione fu che per la prima volta le gare erano ripartite su un’intera regione anziché in una singola città. Per la realizzazione degli impianti furono investiti centinaia di miliardi di lire, uno stanziamento imponente, che comunque non bastò per uno sviluppo efficace. Dei 28 impianti previsti 18 risultarono incompleti (il campo San Teodoro dei Briganti è uno di quelli) e alcuni nemmeno vennero iniziati. Non si riuscì nemmeno a provvedere agli alloggi senza causare sovraffollamenti e proteste, in una regione di grande ricettività quale la Sicilia.

Forse parlare di ponti in Sicilia fa storcere il naso a qualcuno. L’evento dei Briganti al quale partecipiamo si chiama “6° torneo No Tav No Ponte No Muos”. Sono convinto che anche questo parlare di no faccia storcere il naso a qualcuno. Eppure, come si dice nell’educazione dei bambini, è importantissimo saper dire di no. Il no che da qui si urla con forza è un rifiuto della politica dei grandi affari, dei grandi eventi, delle grandi opere, una protesta verso quei provvedimenti che calano dall’alto, come le mannaie. Un ponte concettualmente è un’opera sana, che avvicina due realtà distanti a volte diverse, altre volte simili. I Cinghiali percorrono un ponte per raggiungere la più lontana delle regioni italiane, separata dal continente da una profonda lingua di mare. Dall’altro lato c’è un Brigante che li attende, il pilone del ponte, e si chiama Piero Mancuso.

San Teodoro Liberato. Il campo da gioco dei Briganti è una terrazza naturale che spazia su Librino. La club-house è in un palazzetto sportivo, in cui il tipico rimbombo da palestra crea un effetto solenne, come fosse una cattedrale per lo sport popolare. Le sue vetrate in vetro infrangibile sono scheggiate dalle sassate (forse proiettili?), i suoi affreschi sono le maglie delle squadre che hanno sostenuto i Briganti (i Cinghiali hanno l’onore di avere la propria maglia a fianco di quella della Benetton Treviso), le panche e i confessionali sono tavoli e divani di un semplice e coloratissimo bar. Anche gli spogliatoi per le squadre hanno una rara particolarità, poiché sono comunicanti: tra parete e soffitto c’è uno spazio non murato di un metro e mezzo. La mia mente immagina l’inizio della partita, quando le due squadre, tese e concentrate, possono sentire le voci (o il silenzio) degli avversari oltre il muro divisorio.

Piero, in quanto responsabile tecnico, è onnipresente e si occupa di tutto nella squadra. Il suo ruolo cruciale è allenare gli under 16, educare e difendere questi ragazzi per renderli uomini e salvarli dalla disgrazia mafiosa. Ci diamo appuntamento per pranzo, in una trattoria tipica siciliana, la Putia du Calabrisi. Per una felice casualità, l’osteria si trova in via della Concordia, nome che descrive bene il tempo trascorso con Piero, che ci parla del quartiere: «Qui siamo in una zona di quelle più difficili, c’è prostituzione, spaccio intenso... da quando avete messo piede qui siete già stati “schedati”». L’avevamo notato: «Non mi era mai capitato di attirare l’attenzione degli uomini entrando in un bar», sdrammatizza uno dei Cinghiali. «Abbiamo affrontato tanti problemi in questi anni – prosegue Piero – già mettendoci in discussione per il nostro sport: il rugby qui è sempre stato visto come uno sport di destra».

«A Catania il fascismo è tuttora un problema»: un’affermazione che lascia intuire quanto sia radicato l’intrico di erba cattiva. Gli chiediamo se hanno mai avuto contrasti con i fascisti: «A parte qualche cugghiune no, ma i cugghiuni stanno in tutti gli schieramenti». Quando gli spiego che scriverò un reportage sul nostro incontro con i Briganti, Piero mette le cose in chiaro: «Dopo l’incendio a San Teodoro sono arrivati molti giornalisti. Uno di loro, senza che ce ne accorgessimo, ha intervistato uno dei nostri giocatori, che gli ha parlato della propria storia, il padre in carcere, la miseria… il servizio andò in onda sulla tv nazionale e raccontava solo del suo caso personale. Ecco, questo non vorrei, che la nostra diventasse la storia dei “poveri che ce l’hanno fatta”». Comincio a capire che qui non si tratta solo di sogni, successo, un gruppo di amici, due ore di sport… qui ci sono le tracce di una lotta quotidiana, contro un sistema che cerca di soffocare ogni alternativa. Quel genere di lotta che non conosce tregua.

 

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