Foto di Antonio Marcello
Reportage Francesco Mazzanti Mercoledì 11 aprile 2018
Continua il viaggio tra le montagne dell’Emilia-Romagna che ospitano le gare di trail running: oggi sulla via degli abati, tra Bobbio e Pontremoli.
«La strada che potremmo definire “via degli abati di Bobbio” presenta tratti di strade antiche lastricate, cappellette per la sosta e il riposo, “segni” del pellegrinaggio, torri e castelli. La via è percorribile ancora oggi a piedi, a cavallo o in mountain bike». È un tracciato più antico della via Francigena e prende il nome dai pellegrini del nord Europa, soprattutto quelli che provenivano dalle isole britanniche diretti verso i luoghi santi della cristianità. A descriverla nel dettaglio c’è un buon libro, Prima della Francigena, a cura di Renato Stopani. Sigerico, il famoso arcivescovo di Canterbury, aveva attraversato la via Francigena trascrivendo le sue memorie, ma il tratto che da Pavia giunge a Pontremoli, in provincia di Massa Carrara, è più antico rispetto alla Francigena stessa, anche se certamente meno agevole. Percorrere la via degli abati è un viaggio che permette di oltrepassare l’Appennino emiliano, là dove confina con Lombardia e Liguria per poi raggiungere la Toscana, con l’obiettivo di mettere i piedi a Roma: meta, con Gerusalemme e Santiago de Compostela, di camminatori e religiosi di ogni tempo. La via infatti è costellata di presenze e testimonianze di questo passato: abbazie, chiese, monasteri. Edifici di culto che in passato servivano anche come ricoveri ospedalieri e come locande.
E così la spiritualità, qualsiasi essa sia, si rivela necessaria in questo percorso. Anche se l’edificazione dei luoghi di preghiera non ha mai avuto motivi esclusivamente ultraterreni. Partiamo dall’inizio della via: Bobbio, paese in provincia di Piacenza, che si è classificato terzo nel premio Borgo dei borghi 2018 del programma televisivo Kilimangiaro. A Bobbio nel 612 il re Agilulfo dà ordine a San Colombano di costruire un monastero, oggi conosciuto con il nome di abbazia di San Colombano, per creare «una testa di ponte verso la Liguria». Il monastero può essere considerato uno dei centri della cristianità occidentale dove si viveva seguendo le “regole colombaniane”, caratterizzate dalla preghiera, dal lavoro ma anche dallo studio dei testi. Alla fine del primo millennio infatti lo scriptorium dell’abbazia poteva contare più di settecento codici.
Un’altra abbazia del comune di Bobbio, meno conosciuta rispetto a quella di San Colombano, si trova nella frazione di Mezzano Scotti. Il monastero benedettino di San Paolo, costruito nell’VIII secolo, aveva un’importanza fondamentale soprattutto per la viabilità. Secondo lo storico Renato Stopani «grazie ai proventi dell’ingente patrimonio terriero di cui disponeva, il monastero di Mezzano doveva essere in grado di realizzare tutta una rete di infrastrutture di servizio dedicata all’accoglienza dei pellegrini». L’abbazia aveva vari possedimenti sulla strada e in varie località e svolgeva un ruolo centrale nell’organizzazione dei viaggi verso Roma. L’importanza di spostarsi, di mettersi in cammino per conoscere è rappresentata da una scultura su lastra in arenaria che si trova a Pontremoli, meta finale della via degli abati. Il famoso “labirinto di Pontremoli” simboleggia la ricerca affannosa e circolare della verità.
Restiamo sulle strade. Ideate da sempre per collegare e che nella via degli abati uniscono paesi dai nomi poco noti dove s’intrecciano le storie comuni e la storia. Gambado, Santa Cecilia, Coli, Faraneto, Peli, Pescina, Nicelli: semplici borghi di passaggio per la maggior parte delle persone che però hanno sempre rappresentato dei confini politici, come quello tra i potentati longobardi e bizantini. Era il possesso di alcuni valichi, come quello della via degli abati, a essere determinante nella lotta per il governo del territorio. Nel X secolo, quando i bizantini si ritirano a sud, venne meno la necessità di possedere la via e da quel momento è il percorso della Francigena a imporsi come riferimento principale. Negli ultimi decenni però la via degli abati è stata riscoperta grazie all’impegno di varie associazioni, culturali e sportive, che permettono di riscoprire in sicurezza un tracciato antico quanto le montagne che attraversa.
Insomma, emozioni da vivere e bellezze da scoprire non mancano. Si può attraversare, d’estate, il fiume Nure a piedi, visitare la fortezza di Bardi e il monastero di Cavrago. Oppure ci si può fermare per osservare antichi lavatoi, o i faccion, facce scolpite sopra le porte o le finestre che servivano per scacciare il malefico dalle abitazioni. «Ma quello che più conta – afferma Luciano Allegri, presidente dell’associazione Via degli abati – è il silenzio, la tranquillità e il contatto umano con gli abitanti dei paesi. Qualcuno potrebbe invitare il passante per un caffè o per bere insieme un bicchiere di vino. Esperienze a cui non siamo più abituati».
Francesco Mazzanti
Dopo la laurea internazionale in Culture letterarie europee studia al Master di Giornalismo dell’Università di Bologna. Nel 2018, insieme a Enrico Mariani, ha pubblicato per Pequod il libro Sulla schiena del drago, reportage in Vespa dalle terre del centro Italia colpite dal terremoto del 2016. Nella rete delle polisportive popolari, opera nel settore dell’accoglienza dei migranti, in particolare come allenatore di calcio.